English

Invenzioni sul vero
Oltre la visione, nella poesia del colore

Nella pittura di Carlo Ferrari il termine “composizione” assume un significato radicale imprescindibile, come una vera e propria partitura musicale in cui gli elementi linguistici, il colore, il segno, la materia, obbediscono in rigorosa specie alle leggi d’un’armonia espressiva egemone e potestativa sull’invenzione informale di una memoria dei luoghi. L’artista rapisce del paesaggio, istintivamente, insieme un equilibrio timbrico, tonale e spaziale e, sottratto questo alla logica visiva originaria, lo riforma secondo variazioni emozionali e memoriali tuttavia fortemente ancorate alla maniera classica del “fare pittura”: la ricerca dell’equilibrio compositivo di un Burri inteso come grande impaginatore del quadro; la fantasia cromatica, la freschezza, il filtro interiore rispetto alla rappresentazione di De Stael; il senso lirico della natura e del colore unitamente alla gestualità e al movimento di Afro. Se alcuni quadri sono risolti “in apnea”, in modo veloce e tensivo, altri sono corposi materici ragionati, a volte violati e ricomposti sulle tracce semivisibili di un remoto disegno che stabilisce ora un nuovo legame con la più vicina superficie pittorica rendendoci una visione aptica della forma colore; come se Ferrari, ossessivamente prostrantesi all’idea di equilibrio perfetto, pungolato dall’esigenza di una sintesi formale irrinunciabile, ricomponesse l’ordito di un nuovo mondo, in un suadente e destrutturato racconto della realtà o piuttosto della sua propria esistenza. E’ in effetti vero che ogni “reale” è già stato e consumato nel momento della sua narrazione. Di esso si sono perduti i particolari non caratterizzanti, mantenendosi una sostanza ponderata ove cultura e storia personali convergono a stabilirne le forme e le condizioni di un’attuale rinascita.
E ove più intense e significativamente complesse siano storia e cultura, più difficili sono i problemi compositivi che l’artista s’impone, sempre soffrendo dell’eterno, aspro conflitto, tra libertà e perfezione, tra anarchia e norma, tra follia e civiltà.
Ma l’amore di Ferrari per la “terra”, di cui deduce per timbriche e tonali corde cromatiche l’essenza, di cui scandisce gli spazi visivi con ampie campiture dai rigorosi tratteggiati graffiati o toccati da un colore traspirante, è tale che per l’artista diviene argine oltre il quale non riesce e non vuole spingere in avanti, oltremodo, il suo disegno informale in cui ogni soluzione, nell’astrarre più radicale ed arbitraria, diverrebbe plausibile; desidera anzi che il racconto sulla realtà sempre appartenga ad essa e che l’invenzione della mente non spinga l’uomo oltre il limite rappresentato da un suo invisibile, insondabile ricordo destinato ad estinguersi nel correre del tempo. E nel quadro convergono allora prospettive di paesaggi nati altrove ma cresciuti nella mente, con estesi spazi cromatici e tocchi di colore magnetici che fissano punti baricentrici o che si attraggono attorno ad aree di visione a volte prospettiche a volte proiettive, come schiacciate su di un solo piano e a cui solo altezza ed estensione del suono-colore donano profondità e parola, narrazione in cui la parola evapora restituendoci l’essenzialità dell’anima.

G. Bovecchi

Inizio pagina